di Valentina Tamborra
Mi chiamo Valentina Tamborra e sono una fotoreporter.
Nel mio lavoro amo mescolare parola e immagine e fino ad ora ho raccolto storie in giro per il mondo utilizzando la fotografia e la scrittura.
“Se questa foto potesse parlare!” - ecco cosa mi no detta più e più volte guardando agli incontri che hanno reso i miei progetti possibili. Volti, storie, momenti – in una parola: emozioni.
Da qualche anno ormai, lavoro sull’Artico: dalle Svalbard, il luogo più a nord stabilmente abitato, alle Lofoten per finire nel Finnmark, fra i nativi di Norvegia, i Sami. Ed è proprio con quest’ultimo progetto che sono arrivata a decidere di affrontare un tema davvero particolare: lo sciamanesimo.
Si dice che un viaggio perfetto è circolare: si parte, si va lontano per poi tronare a casa. Ed è quello che è accaduto. Lavorando sui nativi ho avvicinato il tema degli sciamani e, un po’ per caso e un po’ per curiosità, mi sono imbattuta in forti somiglianze con rituali che ancora oggi vengono praticati in Italia, fra Sardegna e Val Camonica.
instax è diventata lo strumento perfetto per dare voce a queste storie antiche e moderne: insieme alle persone incontrate, abbiamo scelto le foto più rappresentative. Insieme, abbiamo inciso le loro voci, i loro ricordi, i suoni della natura che ci circondava, le loro sensazioni sulle foto stesse. Prima di salutarci, una delle foto scattate insieme è rimasta alla persona ritratta, come un dono, come un ringraziamento. Una memoria dell’istante vissuto assieme perché in fondo proprio questo è un’istantanea: il momento, l’emozione della scoperta, la magia della condivisione. Non solo raccogliere una storia, ma lasciare qualcosa di noi.
Ecco perché ho deciso di raccontare la magia di Madre Terra utilizzando la magia delle istantanee e mi sono mossa fra due isole: la prima, nascosta fra le Alpi, la seconda nel mezzo del Mar Mediterraneo.
E così fra Val Camonica e Sardegna sono andata in cerca di antichi riti accompagnati da gesti nuovi, di tradizioni perpetuate, di uomini e donne che vivono a stretto contatto con l’ambiente che li circonda non dimenticando mai di mettersi alla pari, di non cercare di sfruttarlo ma semmai di usarlo in una sorta di “scambio” continuo che non sottrae ma, semmai, omaggia e aggiunge.
L’uomo che fa parlare le pietre: Alberto Marretta
Il mio viaggio inizia al parco dei graffiti rupestri di Capo di Ponte. Fra queste rocce, vecchie di 2.500 anni, lavora un uomo in grado di farle parlare. Il suo nome è Alberto Marretta ed è un archeologo.
Per raccontarmi i segni incisi sulla pietra si inginocchia fin quasi a sfiorarla con il volto “lo vedi qui? Guarda la precisione, immagina la forza che è servita, immagina l’urgenza del raccontare, del condividere”
Fra scene di caccia e raffigurazioni di momenti di vita quotidiana spiccano però delle figure sacre. Sciamani con le braccia rivolte al cielo, oppure verso il basso ma con una precisa peculiarità: ognuna di esse guarda lo spettatore. Il volto, seppure appena abbozzato, non è un profilo ma bensì uno sguardo diretto, occhi negli occhi, l’incontro fra la divinità e l’uomo. “Incidere la pietra è un atto potente e sacro, significa abbattere la barriera fra il mondo umano e quello divino”, mi dice Alberto mentre mi guida fra queste meravigliose rocce nascoste fra le Alpi.
Ma cosa resta oggi di quell’antico legame?
Le donne medicina: fra tamburi sciamanici e Veneri con intento
La mia ricerca mi porta ancora più lontano. Dalle figure sciamaniche incise sulla roccia a piante come esseri umani, arrivo a pensare che non possa essere tutto rimasto nel passato. Il legame dell’uomo con la natura che lo circonda, da queste parti, è evidente. Ed è così che incontro Sara Trapletti e Lisa Gosio.
Lisa è una ragazza schiva e molto dolce. Mi accoglie in un freddo pomeriggio di gennaio nella sua cittadina natale, Cividate Camuno. Insieme, raggiungiamo il Santuario di Minerva.
Mi spiega che si tratta di un luogo di culto romano, dedicato alla dea Minerva, ma che sorge su un più antico santuario edificato intorno alla presenza dell’acqua del fiume e delle sorgive, in territorio di Breno.
L’acqua, la terra, il cielo: gli elementi naturali alla base dei culti pagani e dello sciamanesimo. Lisa ha a lungo lavorato per l’Archeopark di Boario. Creava oggetti basandosi sui reperti ritrovati, raccontava ai bambini che visitavano il parco, come si viveva in un tempo antico le cui uniche testimonianze si trovano incise sulla pietra.
È qui che Lisa incontra per la prima volta la figura della Venere. È un reperto archeologico, una divinità femminile, una Dea Madre, di cui Lisa percepisce tutta la potenza.
Inizia a ricrearne le forme “come se l’argilla si modellasse da sola fra le mie mani”, dice. Ogni Venere ha una forma diversa, qualcuna ha le braccia conserte, qualcuna è piegata su se stessa, qualcun’altra ha le braccia aperte come ad accogliere il mondo. Lisa non sa spiegarmi come accada, ma le sue Veneri con intento hanno aiutato moltissime donne a trovarsi o a ritrovarsi. Quando le modella infatti, le piccole divinità hanno tutte un loro “intento”. È come se in quelle forme morbide o spigolose si celasse la parte più segreta della donna che l’ha commissionata, per se stessa o per qualcuno a cui tiene, e nell’averla fra le mani quella stessa parte venisse riconosciuta e poi liberata.
Lisa mi ha fatto un regalo: ne ha modellata una per me. Ci eravamo parlate appena qualche minuto al telefono pochi giorni prima. Le avevo spiegato il progetto, nulla più. Ma ora davanti a me, sul tavolo di questo piccolo laboratorio di oggetti meravigliosi, vedo una Venere con le braccia spalancante al mondo e mi commuovo “quando ho pensato a te, mi è venuta in mente una stella, un’esplosione”.
Ma a farmi arrivare a Lisa è un’altra persona, una donna davvero speciale: Sara Trapletti. È una “donna medicina”. Sara è originaria di un piccolo paese della Val Camonica, a pochi passi da due luoghi magici. Un lago meraviglioso che nella stagione più fredda dell’anno ghiaccia completamente permettendo di attraversalo a piedi per raggiungere la sponda opposta, e una riserva naturale unica in Europa, La Valle del Freddo, un angolo di montagna a bassa quota.
Raggiungiamo il lago e uno spettacolo unico si spalanca ai nostri occhi: un cielo azzurro e una distesa di ghiaccio blu cupo dove – sebbene tutto sia ghiacciato – la vita continua a scorrere. “E’ il ritmo della terra, della Dea Madre” mi spiega Sara.
Ha ricevuto un antico tramando, la Segnatura di Guarigione, da un’altra donna di cui non rivela il nome. Si tratta di antichi metodi di cura che prevedono l’utilizzo di erbe, oli, acqua. Curano il corpo, donano sollievo all’anima. Sara ci crede profondamente: mentre si muove tutto in lei mi ricorda l’ondeggiare al vento di certi fiori dalla corolla delicata e forte al tempo stesso. Ha costruito da se il tamburo sciamanico con cui entra in connessione con se stessa, con la Dea Madre e con il divino che c’è in ognuno di noi. Mi spiega che il ritmo del tamburo è esso stesso medicina e quando, nel bel mezzo del lago ghiacciato, si siede e inizia a suonarlo, non posso far altro che poggiare la macchina fotografica, chiudere gli occhi e lasciarmi trasportare da qualcosa di antico, profondo e inspiegabile.
Antiche preghiere, pietre di protezione e maschere vive
Dalla Val Camonica volo in Sardegna.
Ci sono legami misteriosi che valicano chilometri, mari, monti, oceani. Le antiche pietre delle Val Camonica somigliano tanto a quelle che ho visto ad Alta, in Norvegia. Se non fossero renne, potremmo scambiarle con le pietre camune. E se le pietre si somigliano, se i riti sciamanici sono i medesimi fra Val Camonica e Norvegia, non è forse possibile che in Sardegna, isola ricca di storia e di mistero, si trovi qualcosa di collegato a questi mondi magici?
La fiducia in una sorta di inconscio collettivo mi premia: arrivo nell’entroterra sardo, lontano dalle coste, da quel mare blu cobalto e azzurro intenso, e trovo un’altra isola, nascosta, segreta e antica.
A Mamoiada, paese più antico di Sardegna, incontro Franco Sale.
È uno dei Maestri e con i Maestri, in Sardegna, non si scherza.
Sono uomini e donne detentori di antichi saperi tramandati per generazioni. Franco realizza le maschere dei Mamuthones, figure millenarie la cui origine si perde nella notte dei tempi.
L’origine della parola Mamuthone potrebbe derivare dal termine “melaneimones” ovvero “facce nere”, attributo dato dai sardi ai fenici. Ma se scindiamo la parola in mam – muth – e ones il significato, in greco, diventa “uomini che chiamano la pioggia”.
Pioggia ovvero acqua: qui in Sardegna è cosa sacra. Portatrice di vita, esistono diversi segni – ritrovati nelle pietre dei nuraghe - che indicano culti dedicati a questo elemento. Franco mi spiega che il famoso “passo dei Mamuthones” serve a risvegliare Madre Terra ed è un rito pagano anche se, come mi spiega, “richiamare la terra alla fertilità è diventato un rito pagano quando sono arrivati i cristiani, e chi lo dice cosa è pagano e cosa non lo è?”
Franco scolpisce maschere in legno e mi spiega che non si può semplicemente indossare la maschera ma è il viso stesso ad entrare in essa dando inizio a un vero e proprio processo di metamorfosi.
Uomo non più uomo, essere collegato alla terra, al rito dell’acqua, alla fertilità, al risveglio.
Prima di lasciare Mamoiada faccio un incontro imprevisto: è quello con Giorgia e Dominique. Cantante lei, musicista lui. Una coppia giovane e bellissima. Prima di vederli in realtà li sento:
“La tarra faédda
Brusgiata, niédda
Semu lʼereditai
Di lʼaltu mundu
Inchinati a una dea
Indrentu a lʼea”
* Traduzione
“La terra parla
Bruciata, nera
Siamo l'eredità
Dell'altro mondo
Inchinati a una dea
Dentro l'acqua”
Giorgia ha una voce commovente e antica. Ha solo 20 anni o poco più ma canta in Gallurese, la sua lingua natia e dedica un canto alla Dea Madre. Le sue parole sono un inno alla memoria.
Dopo Mamoiada mi muovo ancor più nell’entroterra
Devo incontrare un altro Maestro, Midio Pitzalis.
Midio somiglia a Babbo Natale, per sua stessa ammissione. Vive in una casetta in legno e mattoni messa su pezzo per pezzo da solo. Un grande camino in pietra e legno domina la stanza dove mi accoglie. Ovunque mi volti, vedo legno finemente intagliato e statue meravigliose di una pietra nera e oro, o nera e verde. Una pietra che si illumina brilla di mille riflessi non appena le avvicini una qualsiasi fonte di luce: è ossidiana.
Midio la lavora, questa pietra “capricciosa come una bella donna”. Scolpisce la Dea Madre, la stessa figura che Franco riconosce portatrice di vita o che Sara, lassù in Val Camonica, richiama suonando il suo tamburo.
“Non decido io quando smettere di lavorarla sai? Se continuo quando la pietra è stanca, lei si spezza. E a quel punto è finita, metto via. Debbo prenderne un’altra. È l’ossidiana a decidere, non io”.
Midio quando non lavora il legno o scolpisce la sua pietra preferita, si dedica a un altro grande amore: l’archeologia. È a Midio che si deve il ritrovamento di una necropoli punica sita a Villamar. Di quelle colline che sorgono attorno a Villamar, Midio conosce tutto. Ogni nuraghe, ogni luogo nascosto, ogni antica pianta che era e non è più: “io cammino nei secoli”, dice. E c’è da pensarlo davvero che non abbia età quest’uomo dal sorriso e dagli occhi di un ragazzino.
Un filo dorato che arriva dal mare: il bisso
Ma è il momento di tornare sulla costa, vicino al mare, in un paese che d’estate viene assalito dal turismo ma che ora, in gennaio, è un quieto borgo di pescatori, Sant’Antioco. Qui incontro Chiara Vigo, Maestro del Bisso.
“Il bisso non si vende e non si compra. Le opere in seta del mare possono solo essere donate o ricevute. Un Maestro di bisso vive di offerte”: questa è una vera e propria legge per Chiara Vigo.
Lei che prima di lavorare al telaio questa antica fibra tessile di origine animale, scende sulle rive del mare e prega in aramaico.
È una preghiera che le ha insegnato la nonna, antica e sussurrata a fior di labbra. Il Maestro chiede permesso al mare prima di filare questa seta naturale marina che ha origine dalla Pinna Nobilis, un mollusco marino.
È il tramonto, il cielo si tinge di rosa, il Maestro chiude gli occhi: davanti a lei il sole si tuffa nel mare, i contorni si perdono e ha inizio il rito. Scatto le mie fotografie in silenzio, aspetto che sia tempo di incidere la voce sulla mia instax che sembra anche lei aspettare, in silenzio, posata su uno scoglio.
La medicina dell’occhio: sale, acqua, olio e il segno della croce
Non lontano dal Maestro Chiara Vigo, vive Paola Mura. Un’anziana signora di Sant’Antioco con un salotto pieno di fotografie che raccontano di una grande e bella famiglia.
La Signora Paola mi accoglie calorosamente e quando le chiedo di spiegarmi della medicina dell’occhio non si fa attendere.
Un piatto con dell’acqua, dei grani di sale grosso e dell’olio: il segno della croce per tre volte e una preghiera sussurrata. Anche con Paola, non è dato comprendere le parole. Sono antiche, segrete e servono a togliere il malocchio. Come per il Maestro Vigo, questa arte non può essere retribuita.
Donne come Paola o come Chiara o Sara o Lisa in un passato non troppo lontano sarebbero state tacciate di stregoneria ed è curioso, se così si può dire, constatare come il loro operato sia essenzialmente dedito ad aiutare, alleviare, curare.
La medicina dell’occhio in Sardegna è diffusa: anche i giovani vi ricorrono spesso. Come una sorta di panacea per ogni male, quando la si riceve si usa portare in dono a chi la pratica qualcosa come un pacco di caffè, o del sale, o dello zucchero. Non ci sono soldi, non si paga ciò che è sacro.
Il segno della croce e un rituale pagano: i simboli si mescolano per dar vita al rituale.
Il pendolo conosce il futuro
È il momento di tornare a Cagliari, l’ultimo giorno prima di ripartire.
Dall’entroterra alle coste ho trovato storie meravigliose, persone che tramandano cure e antichi saperi. Uomini e donne che nella natura vivono e dalla natura traggono conoscenze. Mi chiedo se anche in città troverò qualcosa di simile e in effetti è così.
Valeria Melis mi accoglie: la casa è avvolta nella penombra, lei è vestita di nero, ha occhi scuri e profondi e un gatto bellissimo e sfuggente – se volessimo giocare sugli stereotipi, lei sarebbe perfetta.
Ma non è la magia ciò di cui parliamo, bensì di energia. Valeria crede nella forza della natura, delle pietre e mi mostra un pendolo in ossidiana. Anche lei, come Midio, ammette che si tratta di una pietra capricciosa e che non sempre riesce a governarla.
Mi racconta che in passato sua mamma utilizzava il pendolo per stabilire il sesso del nascituro. Oggi Valeria pone domande al pendolo, domande a cui il pendolo può rispondere solo con un sì o con un “no”, risposte deducibili dal senso di oscillazione. Mi spiega che le pietre di protezione, quelle più importanti da avere sempre con sé sono tre: ossidiana, quarzo rosa e quarzo ialino. Tutte queste pietre, queste energie di cui ogni persona incontrata in questo lungo viaggio mi ha parlato, hanno a che fare con una sfera intima dell’essere umano, quella della spiritualità.
Ho inciso – come graffiti – la voce di questi uomini e di queste donne su delle istantanee che abbiamo scelto assieme. Ho lasciato che ogni persona si raccontasse da sola e ho restituito il rumore del mare, il suono del tamburo, lo scorrere di un ruscello, il battere nervoso di un piede sul selciato. Sono passaggi, momenti di vita impressi per sempre. Ho lasciato ad ogni persona una fotografia come memoria dell’incontro. Una stampa istantanea, vera, immediata, come vero immediato e profondo è stato ogni incontro. Mi piace pensare che per una volta la tecnologia si sia avvicinata all’animo umano restituendone la vitalità e l’emozione.
Le foto possono parlare – e hanno mondi interi da raccontare.
Quel che resta di noi, in fondo, è il segno che lasciamo – un testimone da passare a chi avrà cura e cuore di raccoglierlo.
Valentina Tamborra
Nota:
il lavoro in Sardegna nonché la camminata sul lago ghiacciato non sarebbero stati possibili senza l’aiuto di una persona straordinaria: Michele Piras.
Fotografo con base a Cagliari, Michele è stato fondamentale per avere accesso ad un mondo antico e misterioso.
Abbiamo condiviso tutti gli incontri in Sardegna e l’incontro con Sara in Val Camonica. Guida, amico, assistente, cameraman: con raro entusiasmo e spirito di volontà ha macinato chilometri e chilometri per raccontare “ciò che resta di noi”.
Grazie!
Biografia - Valentina Tamborra
Valentina Tamborra è nata a Milano nel 1983, dove vive e lavora.
Fotoreporter e giornalista, si occupa principalmente di reportage e di ritratto, amando mescolare narrazione e immagine. Ha collaborato e collabora con alcune fra le principali ONG e con enti come AMREF, Medici Senza Frontiere, Albero Della Vita, Emergenza Sorrisi e Croce Rossa Italiana. I suoi progetti sono stati oggetto di mostre a Milano, Roma e Napoli.
Ha pubblicato sui principali media nazionali (Corriere della Sera, La Stampa, la Repubblica, Il Messaggero, Il Manifesto, La Lettura, Famiglia Cristiana, Gioia) e ha partecipato a trasmissioni radiofoniche e televisive (Rai 1, Rai 3, Rai Italia, Sky, Radio 24, Radio Capital e Rai Radio2).
È docente presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano e ha tenuto lezioni e workshop presso lo IED (Istituto europeo di Design) e la Naba (Nuova Accademia di Belle Arti), dove Doppia Luce, il suo primo grande progetto personale, dopo essere stato in mostra ha dato luogo a un ciclo di conferenze. Nell’aprile 2018, in occasione del Photofestival di Milano, ha vinto il Premio AIF Nuova Fotografia.
Biografia Michele Piras
Michele Piras nasce a Cagliari nel 1992. Vive e lavora a Cagliari, dove si occupa particolarmente di fotografia, prediligendo la ritrattistica, la street, e la fotografia pubblicitaria, pur essendo fortemente appassionato del reportage.
Nel 2019 apre il suo primo studio fotografico con sala pose a Cagliari e nel 2020 apre uno spazio dedicato alla fotografia al centro della città. Al suo interno sono presenti oltre alla sala pose anche la camera oscura, dedicandosi così alla fotografia analogica, con l’intento di creare uno spazio di aggregazione culturale dedicata alla fotografia e all’immagine in generale.